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L’informazione ai tempi del web, ne parliamo con la web journalist Giusy Raco

Ci troviamo a vivere un momento molto delicato per quel che riguarda l’informazione. Lo sviluppo delle piattaforme digitali, che in teoria avrebbe dovuto migliorare il flusso comunicativo, ha portato in realtà a una crescita esponenziale non sempre incentrata sul concetto di qualità. L’informazione ai tempi del web, ne parliamo oggi con la giornalista Giusy Raco, è un enorme rete che si intreccia e che spesso stritola la realtà, storcendola e plasmandola a seconda dei singoli interessi.

Abbiamo deciso di ospitare Giusy Raco proprio per la sua grande esperienza nel settore e per analizzare con lei diverse cose: il futuro dell’informazione, chi è e cosa fa un giornalista web, la differenza tra giornalista e blogger, le fake news e molto altro ancora.

  • Ciao Giusy, benvenuta sul nostro blog. Puoi farci un breve excursus della tua formazione professionale?

Grazie a voi per darmi l’opportunità di raccontare il mio percorso professionale. A dire la verità è stata una strada non sempre chiara dall’inizio e ci sono arrivata con un po’ di ritardo. Tutto nasce con la passione per la scrittura, scrivo praticamente da quando ho imparato a tenere la penna tra le dita. Dalla lista della spesa al piano editoriale, e confesso di avere ancora un’agenda in borsa sebbene lavori online. Mi sono laureata in Lettere con una tesi sperimentale in Antropologia culturale. Cito questo passaggio perché la meticolosità della redazione, la consultazione della bibliografia, le interviste sul campo e le correzioni ossessionate alla mia tesi, mi hanno anche insegnato l’attenzione al dettaglio e l’autocritica verso il mio lavoro. Durante gli anni di Università ho frequentato un corso per correttore di bozze in una casa editrice che mi è servito per prestare sempre più attenzione al testo e alla comprensibilità per il lettore.

La mia volontà di rendermi sempre più autonoma nella gestione del lavoro mi ha portato a studiare la grafica pubblicitaria. Voglio precisare che questi sono gli anni di “studio matto e disperatissimo” (citazione leopardiana) perché mi divido tra delle collaborazioni con alcune agenzie di comunicazione, come redattore di testi o come grafica e la sera fino a tardi sono davanti al pc a testare i miei primi siti web. Imparo il codice HTML e CSS, a realizzare la mia prima paginetta statica, poi a usare alcuni CMS come Joomla e WordPress. Nel frattempo, non avevo mai smesso di scrivere come collaboratore per alcune testate giornalistiche, sia cartacee che web. La curiosità e il desiderio di costruirmi una figura professionale completa mi ha spinto a superare le difficoltà che incontravo. Come in ogni cosa però arriva il momento in cui si deve scegliere: se continuare a specializzarmi come web designer o grafica, o come redattore. Scelgo la scrittura senza abbandonare la grafica che mi ha aiutato a dare un ordine e immediatezza anche ai contenuti. Quindi decido di fare tesoro di tutto quello che avevo imparato e che mi aveva permesso di lavorare come amministratore in backend comprendendo a fondo il funzionamento delle cose, ma continuando a seguire la mia passione per la scrittura per informare e raccontare. Per aiutarmi a prendere dimestichezza con vari tipi di scrittura, scrivo qualche poesia partecipando a qualche evento locale e pubblico un racconto per bambini da 0 a 3 anni partecipando a un contest sui social di una casa editrice specializzata per l’infanzia. Queste esperienze erano per me un puro esercizio di stile per mettere alla prova la mia creatività e per cimentarmi con dei generi differenti.

Durante la mia collaborazione giornalistica vedere i miei articoli pubblicati e aiutare le persone a informarsi rappresentava per me un onere e un onore, ma avevo voglia di raggiungere un pubblico più ampio. Da questo momento in poi ho iniziato a studiare la SEO applicata alla scrittura. Complice di questo mio studio qualche sito web che avevo messo online e buttato giù e rifatto un sacco di volte! Ma chi lavora col web -come tutti i lavori- come sai, è sempre in continuo aggiornamento, per questo continuo a formarmi e a consolidare quello che ho imparato fino ad ora.

  • Cosa significa essere una web journalist? Qual è, se esiste, la sostanziale differenza tra il classico giornalista e il cronista 2.0 che agisce su internet?

Un web journalist è un giornalista con competenze digitali che segue tutto l’andamento della notizia anche dopo la pubblicazione, interagisce coi lettori, scrive un contenuto di facile comprensione e sa utilizzare le piattaforme e gli strumenti di e-publishing. Come la formazione giornalistica ci impone -per fortuna- un continuo aggiornamento professionale, così anche il web ci mette in condizione di essere sempre aggiornati, di studiare sempre i cambiamenti dell’utilizzo degli strumenti e le dinamiche di Google, e se vogliamo, anche a prestare attenzione anche ai cambiamenti antropologici legati al web. Per questo costante rinnovamento professionale, per l’etica e per quella “fiducia tra stampa e lettori” che contraddistingue il lavoro giornalistico, posso assicurarti che non c’è nessuna differenza.

Un giornalista web e un giornalista inteso nel senso classico del termine hanno in comune come obiettivo di raggiungere le persone e aiutarli a comprendere i fatti e i cambiamenti a cui assistiamo. Ma è anche vero che è cambiato il modo di interagire del giornalista con i lettori perché è cambiato il modo in cui le persone si informano. Quindi non c’è nessuna differenza sull’etica che muove la professione e vuole fare informazione ma è cambiato il modo di lavorare, sono richieste più competenze trasversali perché ci sono più strumenti a disposizione che oberano la professione ma offrono innumerevoli opportunità. Basta saperle coglierle.

  • Com’è cambiata secondo te l’informazione ai tempi del web? La grande diffusione delle piattaforme online ha stravolto non solo la fruizione ma, con ogni probabilità, anche il modo attraverso cui viene strutturata l’informazione. Cosa puoi dirci a riguardo?

La gente non si informa più attraverso la homepage di un giornale, è protagonista: decide cosa leggere, quando e dove. Ad esempio, sfogliamo una rivista, comodamente seduti sul divano di casa, seguiamo il percorso di lettura stabilito dal giornale o scrolliamo un articolo su uno schermo touch screen in una metro affollata scegliendo di cliccare sui link di approfondimento. Se visualizziamo con la mente l’atteggiamento del lettore, possiamo capire come cambia anche il modo in cui leggiamo, la posizione del corpo e il movimento delle mani in base al supporto. Le persone cercano le notizie dal pc, da tablet o mobile e spesso lo fanno sui social, ma ancor di più sui motori di ricerca. Per questo motivo c’è bisogno di scorrevolezza, facilità di comprensione e immediatezza. I più restii al cambiamento parlano di giornalismo che si trasforma in blogging o che la SEO distrugge il lavoro giornalistico e la naturale esposizione di un fatto. Ma il giornalismo web possiamo dire che eredita dal blogging proprio quella capacità di aggiornamento della notizia, del monitoraggio del pezzo e dei link interni. Lo chiamiamo content curation ed è un’operazione ad appannaggio dei blogger ma che sta diventando una prassi anche per i giornalisti che lavorano molto con il web.

Il giornalismo della carta stampata dovette fare i conti anche con la televisione e le nuove forme di comunicazione perché cambiava il modo di produrre e di accesso alla notizia. È un cambiamento inevitabile se pensiamo anche al giornalismo partecipativo (citizen journalism) dove sono le persone comuni a contribuire al flusso delle informazioni senza filtro con post sui social e video che diventano virali grazie alle condivisioni. Forse dovremmo chiederci quale sarà il prossimo cambiamento e come possiamo adeguarci.

  • Che differenza c’è tra l’articolo di un blog e un pezzo giornalistico scritto per qualche quotidiano o magazine? Puoi fornire qualche consiglio su entrambe le opzioni?

A livello di struttura nessuna, entrambi devono rispondere alle 5W e alla piramide rovesciata per l’organizzazione delle informazioni, ma in entrambi può essere inserito o omesso il parere personale dell’autore. Se inserire un elemento opinionistico o restare oggettivi è una scelta di stile. Il giornalismo più stretto eluderebbe le opinioni perché non devono influenzare il pubblico lettore che deve in maniera autonoma formare un proprio giudizio personale e soprattutto comprendere i fatti liberi da coinvolgimenti emotivi. È indubbia la potenza del blog da cui il giornalismo ha imparato a utilizzare gli strumenti rendendosi più vicino alle logiche del web. Entrambi devono attenersi a una regolamentazione che se per il giornalismo è etica professionale, per il blogger è correttezza informativa, ne guadagna come credibilità e audience.

La gente -non dovremo mai chiamarli utenti- cerca informazioni, vuole entrare nelle stanze del potere, vuole scoprire le cose, le cause e lo fa con l’unico mezzo a disposizione: internet. Quindi che sia un articolo di un blog o un pezzo giornalistico, deve aiutare le persone a fare chiarezza a comprendere le leggi, gli aspetti di una vicenda o anche solo la preparazione di una torta fatta in casa.

Un consiglio è sicuramente verificare le fonti, scrivere in maniera semplice e creare una struttura di link interni come approfondimenti per argomenti correlati ma in modo naturale, trovare dei dati per raccontare, creare un contenuto anche visuale come un’infografica, una chart o un video che aiuta il lettore a comprendere un fatto. Arricchire un articolo giornalistico è inteso come un approfondimento, per questo una delle tendenze che sta prendendo piede è lo slow journalism, ovvero articoli che fuoriescono dal mainstream delle ultime notizie ma con un approccio di analisi, una ricerca che richiede più tempo di elaborazione rispetto alle news.

  • Oltre a essere giornalista sei anche una specialista di Copywriting. A tal proposito, ti chiedo cosa significa dover scrivere per conquistare l’attenzione non solo del pubblico ma anche del motore di ricerca in ottica posiziomento?

Quando si parla di posizionamento sui motori di ricerca, si va a caccia della formula magica per scalare la serp, eppure l’unico modo per catturare l’attenzione di chi ci legge è avere bene in mente a chi ci stiamo rivolgendo. Quando si scrive una copy, diversamente da un pezzo giornalistico o da un blogpost, non scriviamo per tutti, ma ci rivolgiamo a un pubblico selezionato. Dobbiamo preparare il materiale necessario per definire il prospect, fare delle ricerche sulle query (interrogazioni ai motori di ricerca)- così come faremmo per un articolo- e fare un’analisi della domanda latente per trasformarla in domanda consapevole.

Cosa dobbiamo fare in parole povere? Dovremo intercettare i bisogni da soddisfare, osservare i trend di ricerca e il volume del traffico che ci aiutano a capire cosa cercano le persone e successivamente scrivere un testo che sciolga i dubbi su ogni singolo punto e prevedere le naturali opposizioni, che sia efficace e risponda alle esigenze. Da evitare i sensazionalismi o titoli di attacco iperbolici che rischiano di essere aggressivi e poco veritieri.

  • Nella scorsa edizione del Web Marketing Festival, abbiamo preso parte in maniera attiva al Fake News Hackathon. Quello delle bufale online è un argomento assai delicato. Qual è il tuo punto di vista in merito? Come pensi di poter spiegare la clamorosa diffusione delle notizie false (e del loro successo)?

Le bufale sono sempre esistite, se pensiamo alle famose “leggende metropolitane”, con la differenza che il fenomeno è riuscito a guadagnare terreno con il potere dell’amplificazione dei social che permettono a queste notizie false di essere condivise e raggiungere un numero maggiore di persone. C’è chi addita i social e il web, ma questi sono solo gli strumenti utilizzati da chi ha creato un vero business -pubblicità pay per clic- basato appunto sul clickbaiting. Le bufale nascevano con un intento satirico ma purtroppo in alcuni casi hanno tratto in inganno anche i professionisti dell’informazione e le persone con un backgroud culturale medio alto. Se Facebook e Google si impegnano per far perdere views alle notizie provenienti da siti web farlocchi, è comunque d’obbligo una riflessione sul tema. C’è davvero ancora una fetta di popolazione poco avvezza al digitale e con scarse capacità di verifica delle fonti. Da qui in poi sono emersi tutti quei siti e video virali che ironizzano su questo fenomeno su cui ci scherzano i nativi digitali, ma purtroppo vengono presi sul serio da quelle fasce d’età con una stratificazione culturale che ha il mezzo -lo smartphone e una connessione- ma poca coscienza di utilizzo rispetto al vero potenziale dello strumento.

La velocità del flusso delle informazioni a cui siamo abituati e l’impossibilità di poter verificare la fonte diventa l’humus ideale delle fake news che sfruttano la regola delle tre S: sesso, sangue e soldi. Sfruttano un fatto che rievoca uno di questi elementi e ne alternano la percezione emotiva, amplificandola fino a una disinformazione collettiva. Il fenomeno rischia di non essere arginabile se non grazie all’impegno di Facebook e Google, per togliere la visibilità a queste notizie false, e al lavoro dei giornalisti specializzati in fact checking.

Quindi, da una parte, stiamo assistendo a quella che viene definita disintermediazione digitale, e vediamo come è cambiato il comportamento del lettore che è, diventato parte attiva, cerca, commenta, twitta, esprime pareri, lascia recensioni, registra video e condivide. Dall’altra parte, si assiste al pericolo di una disinformazione digitale pericolosa per chi non è in grado di riconoscere un sito bufalaro o una notizia falsa che sta circolando con la conseguenza terribile dell’alterazione della percezione del fatto reale e dell’opinione pubblica.

  • Chiudiamo con una piccola provocazione: la SEO è morta, come dicono in tanti, o invece è una disciplina ancora essenziale?

Ottima provocazione! Ti rispondo con un aneddoto. Tempo fa sono stata a un corso di aggiornamento professionale e il relatore lanciò una provocazione come questa: “il giornalismo è morto, eppure le notizie stanno bene”. Bene, non è morto il giornalismo e non è morta nemmeno la SEO. È semplicemente cambiato il modo di fare SEO così come è cambiato il modo di lavorare del giornalista. Il SEO copywriting, che è quello di cui mi occupo, è un lavoro che richiede costanza e non premia con risultati immediati o comunque non porta a nessun risultato per l’azienda se il sito che ospita gli articoli ottimizzati in ottica di posizionamento non è un sito performante. È anche vero che i risultati organici Google li posiziona dopo quelli a pagamento e che un contenuto in una posizione favorevole oggi, domani potrebbe ritrovarsi in fondo alla serp proprio perché i fattori di page rank non sono immutabili. Ma è vero anche che, una sinergia di differenti strategie, SEO copywriting, SEO tecnica, Adwords, campagne social ads, possono fare la differenza e portare innumerevoli vantaggi all’azienda.

Ma permettimi di aggiungere che non va trascurato il lato marketing, la brand identity intesa come immagine aziendale, le relazioni della stessa con il pubblico e con altri stakeholder del settore per aumentare il potere di questa sul territorio se opera a livello locale o ad ampio raggio. Tutto è strettamente connesso, una non esclude l’altra. Finché le persone faranno le ricerche su Google potremo dire che la SEO non è morta. Finché la gente vorrà informarsi, potremo dire che il giornalismo non è morto. La protagonista della scena è la curiosità, quel fuoco che ci anima, ci differenzia e ci spinge alla conoscenza. Finché quel fuoco brucerà, allora saremo in vita come uomini.

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Ringraziamo la giornalista Giusy Raco per aver accettato il nostro invito e per averci fornito il suo punto di vista su questioni assai delicate.

Il futuro dell’informazione passa anche, anzi soprattutto, dalle mani dei professionisti che pongono come punto di arrivo la correttezza del lavoro svolto, senza la ricerca di vana gloria (spesso inseguita a colpi di bufale).

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