Marketing

Intervista a Simonetta Pozzi, dalla formazione classica allo Storytelling aziendale

Una delle discipline che più si è imposta all’attenzione di coloro che si occupano di attività di Web Marketing, negli ultimi anni, è senza dubbio lo Storytelling aziendale. L’arte della narrazione investita di un ruolo principale nella comunicazione online, un’idea che a primo impatto può sembrare bizzarra ma che col tempo si è dimostrata indispensabile. Ecco perché abbiamo deciso, questa settimana, di ospitare Simonetta Pozzi.

Docente all’Osservatorio di Storytelling e nel 2017 al Master Corporate Storytelling della IULM di Milano, Simonetta è la dimostrazione pratica di come gli studi classici possano essere una base eccellente per la formazione di un comunicatore aziendale 2.0 la cui missione è conquistare il mercato di riferimento.

Dalla passione per fiabe e teatro alla creazione di contenuti e strategie web per aziende, questo il grande passo fatto dalla nostra ospite, testimone di un concetto che teniamo a sottolineare: la cultura classica è una rampa di lancio per qualunque tipo di lavoro, con una tendenza naturale verso la comunicazione.


Siamo tutti visionari, se andiamo a scavare sufficientemente a fondo. by W. B. Yeats

Dopo questa doverosa presentazione, lasciamo spazio alla nostra ospite, per poter tracciare delle linee guida in merito alla cosiddetta comunicazione narrativa.

  • Buongiorno Simonetta, grazie per aver accettato l’invito di Keliweb. Puoi dirci qualcosina di te e sul tuo percorso professionale per, come si suol dire, rompere il ghiaccio?

Buongiorno Vincenzo, il mio percorso professionale è incentrato sulla passione e su un’inesauribile curiosità. L’amore per le lingue straniere che ho studiato all’università di Genova ed approfondito in Inghilterra mi ha portato a conoscere Yeats e il teatro Noh. Le storie sono diventate una fonte d’ispirazione e un fil rouge della mia vita.

Quest’interesse, rimasto un po’ sopito durante gli anni in azienda dedicati al marketing diretto e digitale, e alla formazione di talenti, è riapparso nel 2012 quando, per caso, ho frequentato un corso di storytelling in uno dei primi coworking nati in Italia. Da allora è diventato la mia principale attività in una ricerca continua volta alla consulenza ed alla formazione aziendale.

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  • Come il sottoscritto, sei arrivata al marketing digitale dopo una formazione classica. In che modo pensi si possa far risaltare l’importanza di studi umanistici per la comunicazione aziendale 2.0? Qual è il passo in più che possiamo avere rispetto a chi si è formato direttamente nel marketing?

Ho scelto di essere una fuzzy e non una techie, perché penso che gli studi umanistici non siano da considerare in qualche modo inferiori a quelli scientifici, ma garantiscano, come afferma Scott Hartley nel suo libro “The fuzzy and the Techie: Why the liberal arts will rule the digital world” ‘a complementary set of skills, equally necessary in today’s technology-driven economy.’ Questo non toglie che la formazione debba prevedere anche ulteriori specializzazioni secondo il sempre più attuale lifelong learning.

Nel mio caso specifico, dopo la laurea in lingue e letterature straniere, ho iniziato un percorso di specializzazione nel marketing internazionale alla SAA, Scuola di amministrazione aziendale di Torino e corsi di direct marketing e marketing alla SDA Bocconi, mentre già lavoravo in azienda.

Possiamo dire, in effetti, che la cultura classica sia stata riscoperta negli ultimi anni e venga considerata una ricchezza, tanto che le aziende ricercano laureati in studi umanistici da inserire nei team di lavoro. Proprio in un articolo de Il Sole 24 Ore del febbraio 2018 dal titolo ’Le inutili lauree umanistiche danno sempre più lavoro’, il giornalista Alberto Magnani scrive che: ‘ le industrie del digitale e del tech si stanno rilevando come due tra le più <> di laureati in possesso delle competenze intellettive fornite da studi umanistici>>’. Cita anche personaggi illustri della Silicon Valley tra cui Steward Butterfiels, fondatore di Slack, che è laureato in filosofia.

Quanto alla comunicazione aziendale 2.0 sicuramente le competenze legate alla scrittura acquisite con gli studi umanistici possono essere un plus, ma devono essere completate da altre skill e soprattutto da aggiornamento continuo.

  • Come scritto sul tuo sito web, le relazioni sono importantissime per ottenere buoni risultati. In che modo l’umanità può ancora essere un valore aggiunto in un’epoca dominata dalla tecnica e dal virtuale?

Le relazioni sono fondamentali soprattutto per noi freelance per avere un confronto costante con i colleghi, per aggiornarci, per creare team eterogenei, indispensabili per raggiungere obiettivi importanti. Proprio per questa ragione è consigliabile fare networking e cogliere ogni occasione per frequentare congressi, corsi anche non inerenti la propria attività, momenti d’incontro per ritrovarsi ed entrare in connessione con nuovi professionisti e aziende.

Durante i convegni dedicati alle nuove tecnologie viene evidenziata proprio l’importanza del capitale umano e delle relazioni sul luogo di lavoro. Si parla di etica, di prodotti e servizi che pongano al centro l’uomo in un’epoca dominata dalla tecnologia 4.0.

Ad esempio, nell’ultimo World Business Forum di ottobre Ian Williamson, professore di Leadership alla Melbourne Business School, ha precisato che per superare la disruption dobbiamo contare sul capitale umano che diventa sempre più scarso, ma è il bene più prezioso.

In quell’occasione Todd Davis, Chief people officer di FranklinCovey e autore del libro “Get Better: 15 Proven Practices to Build Effective Relationships at Work” ha elargito consigli per costruire e consolidare le relazioni nel luogo di lavoro e con i propri collaboratori ed evidenziato quanto le relazioni siano determinanti e possano diventare un vantaggio competitivo per l’azienda stessa.

  • Veniamo ora alle tue specializzazioni professionali. Hai avuto l’ammirevole capacità di trasformare la tua passione per fiabe e racconti in un talento operativo per il Digital Storytelling. È stato un passaggio “naturale” o sei dovuta scendere a patti con te stessa smussando diversi angoli e certezze per raggiungere lo scopo?

Si è trattato di un passaggio graduale e quasi naturale. Dapprima era un interesse, quasi un hobby che occupava solo i week end con qualche corso e poi è diventato l’occupazione principale con attività di ricerca, di studio e molta pratica. Ogni progetto è differente e si deve partire da un’analisi approfondita delle esigenze del cliente per poi trovare nuove soluzioni anche creative.

È stato fondamentale conoscere e frequentare colleghi con cui condivido la stessa passione e soprattutto entrare come membro operativo nell’Osservatorio di Storytelling dell’Università di Pavia.

  • Storytelling aziendale, ovvero l’arte del racconto messo al servizio del panorama commerciale online. Quali sono, secondo te, i punti fermi di un racconto che punti a mettere in risalto i valori di un’azienda?

Rispondere brevemente a questa domanda è una vera sfida! Sicuramente il racconto deve partire dal basso, dal nostro pubblico che è il vero protagonista, l’eroe. Spesso le aziende cadono nell’errore dell’autocelebrazione e nei siti o sui social incentrano la comunicazione sul prodotto o sul servizio. Quante volte abbiamo letto: ‘siamo i leader del mercato in…’, ‘la nostra storia è iniziata nell’anno…’? Oppure abbiamo visto foto postate e letto storie costruite in modo poco credibile tanto per dire di fare storytelling? In effetti questo termine è diventato negli anni una buzzword priva spesso di significato e abusata.

Fare storytelling d’impresa non vuol dire arricchire la comunicazione dell’azienda o del brand con una storia realizzata con un tool e postata sulla pagina Facebook. In realtà è un cambiamento di approccio, il mindset diventa narrativo. Significa vedere gli eventi, le immagini con occhi nuovi. ‘Storytelling non è una storia, ma un processo che progetta, analizza, costruisce e governa identità e relazioni d’impresa attraverso le tecniche del racconto applicate on e offline.’, come ci dice Andrea Fontana, presidente dell’Osservatorio di Storytelling.

La narrazione deve rispecchiare ed esaltare i valori dell’azienda e deve essere soprattutto coerente, in quanto in un mondo sempre più connesso risulta troppo facile oggi smascherare un brand che dichiara impegni sociali ed etici e non li mantiene. Essere veri, narrando sia i momenti positivi sia quelli negativi che ci rendono umani e creano quell’empatia che ci unisce ai nostri pubblici. Ricordiamo i famosi neuroni specchio scoperti dal professor Giacomo Rizzolatti e dal suo team di ricercatori dell’università di Parma.

Per darvi un esempio di comunicazione narrativa sui social che amo molto vi ricordo la campagna del 2016 di un hotel di lusso irlandese, Adare Manor Hotel a Limerick che ha colto l’occasione di un coniglietto di peluche dimenticato in hotel da una piccola ospite per fare un appello su Facebook alla proprietaria, raccontando i servizi offerti dall’albergo. Un caso davvero di successo che ha fatto il giro del web e che ha dato un volto umano ad una struttura alberghiera in modo innovativo.

  • Cosa puoi dirci in merito ai tools narrativi?

L’interesse crescente per il racconto mi ha fatto scoprire i tools narrativi che hanno iniziato a diffondersi in Italia dal 2014. Spesso li paragono alle ciliege, perché uno tira l’altro e sembra quasi impossibile fermarsi tanto la loro evoluzione è continua e stimolante. In questi quattro anni ho visto nascere, morire ed affermarsi molti tools e piattaforme e ne ho scelti alcuni che propongo quali, ad esempio, Steller, Adobe Spark Page, Wakelet, Google Tour Creator, dopo averli testati, studiati ed approfonditi, spesso anche con i CEO e i programmatori.

I tools narrativi sono percorsi nei quali utilizziamo le immagini, le parole e la voce per rappresentare noi stessi (personal branding) oppure la nostra attività (corporate). Devono essere inseriti, come ho detto, in un mindset narrativo, essere parte integrante del nostro racconto. Non vivono a sé stante, ma devono essere integrati nei siti, diffusi sui social media in un piano di comunicazione che esprima i nostri valori e comprenda contenuti differenti a seconda del canale e dei destinatari.

La ragione di questo interesse? Ho voluto trovare nuove soluzioni di comunicazione, sperimentare e arricchire il racconto con contenuti visuali e testuali sempre diversi da suggerire ai miei clienti.

Da storyteller un po’ geek mi sono avvicinata anche alle piattaforme che consentono la creazione di tour virtuali personalizzati a 360° come ThingLink e Google Tour creator, tour che possono essere fruiti con i visori in realtà virtuale. Confesso che lo storytelling in realtà virtuale e aumentata è la mia nuova passione da circa due anni e quest’anno terrò dei corsi proprio sui tour virtuali a 360°, facendo sperimentare la costruzione del racconto in una nuova dimensione: dalla creazione dello storyboard, alle riprese con la videocamera Theta e le piattaforme.

  • Conquistare un buon posizionamento su Google diventa sempre più difficile, così come avere una buona reach organica sui social. In questo quadro così desolante, in cui senza budget per annunci pubblicitari non si va da nessuna parte, che ruolo può avere ancora il Content Marketing? Siamo davvero al tramonto della centralità dei contenuti, a favore di una serie di asettici annunci grafici?

In effetti stiamo vivendo in una continua sovrabbondanza comunicativa, una vera e propria infobesity, per cui le aziende incontrano sempre maggiori difficoltà nell’emergere e farsi scegliere senza investimenti importanti. L’attenzione è diventata un bene prezioso tanto che, secondo lo studio Attention spans del 2015 di Microsoft Canada, si parla di una riduzione della soglia di attenzione dai 12 secondi nel 2010 ai 7,2 secondi nel 2018. D’altra parte i consumatori sono portati a sviluppare strategie inconsce di protezione e selezione soprattutto verso la pubblicità. In questo scenario dobbiamo puntare su un contenuto testuale o visuale innovativo e di valore, dobbiamo essere vicini e utili ai nostri pubblici.

L’ascolto assume un ruolo decisivo così come la conoscenza della nostra audience per una comunicazione mirata, quasi chirurgica, come ha affermato Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Multicanalità in occasione del convegno ‘The Touchpoint Evolution: verso la convergenza degli spazi di comunicazione e vendita’ dello scorso ottobre.

  • Essendo tu molto vicina alle realtà aziendali, voglio chiederti questo: gli imprenditori italiani hanno compreso l’importanza della parola per i propri affari, oppure siamo ancora in uno stato in cui il Copywriter (per non parlare dello Storyteller) viene visto come un elemento superfluo rispetto ad altri ruoli più tecnici, come lo sviluppatore, il webmaster o il web designer?

Gli imprenditori, a mio parere, hanno iniziato a comprendere l’importanza della parola e del copywriter, tanto che molte medie e piccole aziende stanno aggiornando il sito aziendale e stanno avvalendosi anche del blog come strumento per dialogare con il proprio pubblico.

Da tempo infatti stiamo cercando di fare cultura e di sottolineare l’importanza di essere presenti sui social in modo efficace senza però dimenticare il valore e l’unicità del sito che resta centrale nella comunicazione.

  • Chiudiamo con una domanda filosofica: il topos era fondamentale nella narrativa, lo è anche nella stesura di un piano di Storytelling aziendale? E se sì, come definire il tema di base di una strategia di comunicazione?

Non parlerei tanto di un piano di storytelling aziendale quanto di un approccio narrativo, un mindset che dovrà pervadere tutta la comunicazione esterna ed interna all’organizzazione: dal sito, alle newsletter, ai comunicati stampa, alle presentazioni interne, ecc.

Il racconto deve seguire una struttura ben precisa contenuta idealmente tra un inizio ed una fine. Se pensiamo ai tòpoi classici un esempio che tutti conosciamo è sicuramente il viaggio di ritorno in patria di Ulisse nell’Odissea. Come scrive Andrea Fontana nel libro “Storytelling d’Impresa”:

‘ ogni narrazione che vi troverete a progettare e poi a far vivere dentro o fuori l’impresa, ha lo scopo di “creare un destino” (di marchio, prodotto, servizio, vita, ecc.) a cui partecipare. […] Da un ostacolo, superato, si arriva a una destinazione.’

Ed ecco quindi che spetta agli storyteller individuare i racconti, ascoltando e cercando quelli che Fontana definisce i fiction need e trovare gli strumenti più corretti ed idonei ai pubblici a cui l’azienda intende rivolgersi.

Siamo grati a Simonetta Pozzi per la sua disponibilità e per aver accettato il nostro invito, dando vita a questa piacevole chiacchierata nella quale sono stati forniti tanti spunti di riflessioni su cos è lo Storytelling e come può essere utilizzato nel Digital Marketing per rendere più intrigante comunicazione sito internet.

Raccontare una storia è la chiave di volta per catturare l’attenzione del potenziale cliente (appartenente al proprio target di riferimento) bombardato da contenuti tutti simili tra loro, così come dei motori di ricerca.

Lo Storytelling aziendale è una disciplina potente, perfetta per rendere più autorevole una strategia di Web Marketing.

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