Fare marketing online con un approccio scientifico e pop allo stesso tempo, ne parliamo con Mariano Diotto
L'importanza della grammatica nella comunicazione digitale 2.0, per aumentare la visibilità di un progetto web
L’innovazione digitale richiede delle competenze ben precise, in particolar modo per quel che riguarda il modo attraverso cui intercettare gli utenti con contenuti adeguati. Per fare marketing online è dunque necessario analizzare diversi fattori, capire il funzionamento degli strumenti e saper leggere i dati per conoscere il comportamento degli utenti sul web.
Per analizzare alcuni punti della comunicazione digitale, abbiamo contattato un professionista che conosciamo da diverso tempo.
Questa settimana intervistiamo il dott. Mariano Diotto, brand strategist, speaker e direttore del Dipartimento di Comunicazione dell’Università IUSVE, founder della Laurea Magistrale in Web Marketing & Digital Communication, docente di Semiotica per i nuovi media.
- Buongiorno Mariano, grazie per aver accettato il nostro invito. Prima di iniziare, puoi farci un riepilogo del tuo curriculum professionale?
Fin da piccolo sono stato attratto dalla comunicazione e in particolar modo dalla televisione e dalla musica. Infatti queste due aree hanno contraddistinto anche il mio impegno professionale da giovane.
Successivamente mi sono avvicinato al mondo del marketing e sono stato invitato ad insegnare all’università, affiancando sempre la parte di consulenza aziendale come brand strategist. Ora sono Direttore del Dipartimento di comunicazione dell’Università IUSVE e docente di Semiotica dei new media.
- Ti definisci un professionista in equilibrio tra il mondo scientifico e quello pop, un’affermazione che lascia intendere un atteggiamento razionale ma che lascia spazio alla creatività. C’abbiamo visto giusto?
Avete beccato in pieno il messaggio. Oggi la comunicazione va studiata seriamente perché è una di quelle discipline dove tutti si credono già “esperti”. Ma allo stesso tempo ha bisogno di contaminazioni “pop” cioè popolari e derivanti da altre scienze tipo la psicologia, l’antropologia, la sociologia, le neuroscienze.
Antonio Gramsci già nella prima metà del Novecento diceva: «Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri.»
Questo vuol dire oggi fare comunicazione: entrare in relazione.
- Elencare tutte le tue specializzazioni diventa impresa ardua! Diciamo che sei nel mondo della comunicazione digitale da un bel po’ di tempo. A tal proposito vogliamo chiederti questo: come sta evolvendo la comunicazione 2.0?
La comunicazione da sempre è in evoluzione e, per fortuna, sempre progredirà. È il bello del nostro lavoro che così diventa sempre ogni giorno nuovo e stimolante. Ed è per questo che bisogna studiare e continuare ad aggiornarsi. Pensiamo in soli 20 anni come è cambiata la comunicazione delle aziende passando dalla solo presenza di media tradizionali all’integrazione odierna con i media digitali.
È difficile prevedere come si evolverà, perché in questo momento sono le piattaforme digitali a dettare i formati, le tempistiche e, di conseguenza, le modalità operative. Ma di sicuro ciò di cui ci sarà sempre bisogno è il contenuto di qualità. Cambieranno gli algoritmi o gli strumenti, ma sarà sempre il contenuto che vincerà. Se non so cosa comunicare, posso conoscere tutte le tecniche informatiche possibili, ma ciò non necessariamente comporterà un aumento delle mie vendite o della conoscenza del brand! Non basta la tecnica, ci vuole creatività e innovazione.
Credo che la comunicazione a venire porterà sempre più le aziende a comprendere le proprie peculiarità, gli elementi di differenziazione dai competitor, per potersi distinguere in questo bombardamento eccessivo di messaggi a cui siamo sottoposti tutti. Spingerà quindi le aziende ad una sobrietà comunicativa che però dovrà essere più creativa, più incisiva e più memorizzabile.
- Hai seguito l’evoluzione dei Social Media fin dalla loro nascita, perciò chi meglio di te può esprimere un parere attendibile sul ruolo di queste piattaforme per le aziende che lavorano online?!?
I Social Media devono essere parte integrante della pianificazione strategica aziendale. Sarebbe un suicidio professionale pensare di non esserci presenti, ma con alcune attenzioni.
La recente indagine di We Are Social ha rivelato che in Italia il 73% della popolazione è presente online (quindi circa 43 milioni di persone), con 34 milioni di utenti attivi nei Social Media.
Durante il 2017 si è verificata una crescita di 4 milioni di persone connesse ad Internet (+10% rispetto al 2016) e una crescita di 3 milioni di utenti social media (+10% rispetto all’anno precedente).
È quindi evidente che le aziende debbano andare dove possono esserci i loro clienti. Purtroppo però vedo aziende che sono ancora alla fase del “dobbiamo esserci anche noi nei social perché bisogna” mentre dovremmo essere alla fase “utilizziamo i social network per creare relazioni con i nostri clienti o prospect”.
È necessario anche dire che la presenza on line va disegnata sull’azienda come un sarto crea un vestito su misura. Quindi essere presenti è importante, ma lo è sicuramente di più “il modo” con cui si è presenti in rete. Infatti nelle mie consulenze cerco di comprendere quale sia il “vestito” migliore per l’azienda perché in alcuni casi può essere di primaria importanza un sito internet, invece di una pagina Facebook.
- Molte aziende stanno puntando sulla realizzazione di campagne advertising su Facebook e Instagram, ma spesso le entrate non pareggiano gli investimenti effettuati. Ci sono degli errori comuni o è sbagliato pensare ai social come vetrine buone per vendere?
Come dice la collega Veronica Gentili, Social Media Specialist ed esperta di Facebook Marketing: «I social network non sono nati per vendere. Coinvolgere le persone interessate a ciò che hai da raccontare è l’unico modo possibile per abitare le reti sociali con successo.»
Quindi le campagne di advertising su Facebook e Instagram che non funzionano sono dovute all’inefficienza del professionista a cui ti rivolgi. Infatti queste dovrebbero essere strutturate per creare vendite e non solo like.
Irene Penserini, Head of Social Media Dept in Black Marketing Guru, dice che: «Il 90% delle conversioni all’acquisto dipendono dal remarketing.» Infatti un buon Social Media Manager deve saper leggere i dati, gli insight e tramite questi andare a cercarsi il pubblico ad hoc per l’azienda di cui cura la presenza on line. Infatti il remarketing permette di ricontattare coloro che hanno già espresso un’attenzione nei confronti dell’azienda o dei prodotti che vendi. Il remarketing infatti è al momento una delle attività principali della fase di close buying dell’inbound marketing, ovvero di chiusura della conversione all’acquisto.
Quindi l’errore più comune è quello di far credere al cliente che molti like ai post o alla pagina siano segno una buona strategia social. Un like non vale niente se non si trasforma in acquisto!
- Parlaci dell’approccio semiotico digitale da te proposto, una nuova scienza in grado di aprire sentieri sconosciuti ai professionisti del Web Marketing.
La semiotica è la grammatica della comunicazione e in quanto tale ha la capacità di essere, oggi ancor più di ieri, significativa per la comunicazione. Se la semiotica è «la scienza che studia i segni», la semiotica digitale studia i “segni digitali”.
Purtroppo il mondo del marketing di formazione economica pensa che i numeri e la strategia siano sufficienti per una presenza on line efficace, dimenticandosi completamente della parte comunicativa. Una strategia sarà efficace se saprà mettere in essere, nei siti web e nei social, una comunicazione vincente, cioè memorizzabile e che spinga all’acquisto. Ed è proprio qui che interviene la semiotica digitale.
La semiotica digitale diventa così un approccio strutturato, innovativo e vincente al mondo del web. È infatti la scienza in grado di aiutare un progettista o un marketer in ambiti estremamente diversi e su oggetti comunicativi eterogenei: dal naming di un prodotto al suo storytelling, dalla creazione di APP mobile alla progettazione di videogiochi o riviste digitali, dal business plan alle strategie marketing, dalle strategie di pianificazione comunicativa alle tecniche web di SEO, digital PR e content marketing.
Siccome ha dei dispositivi creativi oramai consolidati nel tempo, è in grado di fornire risposte immediate alle esigenze delle aziende. E ovvio che bisogna studiarla bene ed esercitarsi per poterla utilizzare al meglio. Le mie consulenze aziendali trattano proprio di questo: aiuto le aziende ad usare questi dispositivi che riescono a guidare la creatività e la strategia aziendale.
- Come sottolineato sul tuo sito web, hai portato in Italia la Laurea Internazionale in Web Marketing & Digital Communication. Un percorso formativo importantissimo in grado di formare i giovani, permettendo così all’Italia di recitare un ruolo di primo piano nella rivoluzione chiamata “Industria 4.0”.
I giovani in questo momento storico hanno bisogno di essere preparati sulle ultime tecnologie per poter entrare nel mondo del lavoro, ma accanto a queste ci vuole cultura e non solo tecnica, come già detto prima. Le tecniche cambieranno sempre, ma la cultura e il pensiero critico o argomentativo, sono la parte fondante dell’identità di un professionista.
Quando ho immaginato un percorso innovativo mi sono ispirato ai modelli accademici americani dove a fianco della cultura vi è una forte parte pratica e soprattutto il coinvolgimento delle aziende. Quindi il percorso di laurea che ho creato rispecchia proprio questo schema.
I miei studenti ad esempio seguono i corsi culturali tradizionali per 2 mesi, abbinandoci già una parte tecnico-pratica. Poi si interrompono le lezioni perché entrano in università le aziende che chiedono un progetto vero e proprio agli studenti, i quali dovranno mettere in pratica ciò che hanno studiato. Dopo 2 settimane di lavoro viene presentato il risultato ottenuto. In queste settimane gli studenti sono seguiti da un docente referente e da quelli che gli hanno erogato i corsi culturali.
Devo dire che i risultati sono sempre interessanti anche perché alle imprese piace ricevere idee nuove, di cui i giovani sono sicuramente i principali esponenti. Alle aziende poi riserviamo la possibilità di fare scouting tra gli studenti e scegliersi chi portarsi all’interno del proprio team comunicativo. In questo modo accorciamo anche la filiera di job placement che è uno degli handicap delle università italiane.
- Qualche parola sul tuo ultimo libro Brand Positioning?
In questo libro ho voluto raccogliere il mio approccio professionale al mondo della comunicazione e in particolar modo all’ambito del brand positioning, rendendolo un manuale che possono utilizzare neofiti ma anche esperti del mondo del marketing.
I pionieri del posizionamento di marca sono Al Ries e Jack Trout che nei loro libri hanno spiegato come realizzare un brand positioning efficace. In una loro legge dicono che «Il Marketing non è una battaglia di prodotti, è una battaglia di percezioni.» Partendo da questa affermazione ho sviluppato un approccio al brand che tenga conto dei recenti studi sulle neuroscienze. L’abbinamento di questo metodo alla semiotica digitale ha disegnato la struttura del libro.
Nel libro presento anche le 15 Leggi di Diamante che sono un modello innovativo di gestione strategica, di advertising e di marketing che ho creato e che uso nelle mie consulenze, in quanto identificano le componenti del brand da una prospettiva maggiormente orientata al pragmatismo, alla costruzione di regole di funzionamento e alla conseguente gestione della marca. Vengono quindi utilizzate per un corretto brand positioning dei prodotti o dei servizi.
Questo modello, che ho elaborato in questi anni in collaborazione con docenti universitari, tiene conto degli studi delle neuroscienze e della struttura archetipica, elementi fondamentali nella costruzione di un brand e risente dell’influsso americano di decodifica del significato di marca. Il modello si struttura in 15 leggi che permettono di raggiungere il pubblico a livello emozionale, costruendo una identità di marca che si basa sugli archetipi già presenti nel pubblico. Queste Leggi si inseriscono in quello che chiamiamo: neuromarketing.
A giorni uscirà la prima ristampa, a solo 6 mesi dall’uscita, e nonostante il poco tempo trascorso ho deciso di aggiornare gran parte degli esempi inclusi perché, come detto prima, la comunicazione è veloce, anzi velocissima.
Ringraziamo il dottor Mariano Diotto per aver aver accettato il nostro invito e per la piacevole chiacchierata in merito al marketing online.