10 metriche per valutare le performance di un account AdWords
Quali sono i parametri da valutare per sapere se utilizzi bene lo strumento di Google?
A volte si pensa che il set up delle campagne su Google AdWords sia un processo one-shot, che si esaurisce nel momento stesso del suo completamento: creiamo l’architettura dell’account, definiamo campagne e gruppi, scriviamo annunci ed estensioni e il gioco è fatto. Nulla di più sbagliato.
Una delle chiavi del successo delle proprie campagne PPC è considerare tutte le attività come parte di un processo in divenire: intenti di ricerca, competizione, domanda di mercato possono cambiare in modo repentino e per massimizzare la performance dell’account gli advertiser dovrebbero essere in grado di intercettare i cambiamenti e rispondervi tempestivamente confutando, validando o modificando le proprie strategie ed assunzioni. Ecco che il monitoraggio e la misurazione assumono un ruolo fondamentale sia per valutare le proprie performance che per identificare eventuali frizioni o opportunità di espansione rendendosi, di conseguenza, funzionali al fine ultimo dell’attività, la massimizzazione del proprio ritorno sull’investimento in Google AdWords.
In quest’ottica, la scelta delle metriche può essere determinante per la massimizzazione della performance dell’account. Una scelta che non è affatto semplice, considerando che sia nella piattaforma Google AdWords che negli altri strumenti di Big G – due esempi per tutti, Google Analytics e Google Data Studio – il numero di metriche disponibili o calcolabili tende all’infinito.
Se è vero che la scelta degli indicatori strategici di successo – o KPI, misure quantitative che determinano il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati – è peculiare al business di riferimento, ci sono 10 KPI “condivisi” che, secondo un ordine gerarchico a 3 livelli, possono costituire buoni indicatori di prestazione delle campagne in Google AdWords, a prescindere dallo specifico settore di riferimento o dagli obiettivi strategici del business. Guardiamoli insieme.
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KPI basati sul traffico
Gli elementi alla base di queste metriche sono i clic e le impression che, di per sé, non dicono nulla rispetto alla capacità della campagna di generare profitto e ROI. Per questo motivo, se prese isolatamente, queste metriche possono essere fuorvianti: pensiamo ad esempio all’eccessiva attenzione di molti al quality score, o al conseguimento di un CTR superiore ad un certo livello. Basarsi solo su di esse per prendere decisioni può portare a scelte miopi che possono compromettere la performance delle attività e, di conseguenza, influire negativamente sul ROI.
Ciononostante, alcune di queste metriche possono essere considerate dei KPI perché rilevanti, in quanto forniscono un’istantanea di immediata lettura sulla pertinenza – “il livello di utilità delle informazioni per il cliente” – e orientati all’azione, poiché possono offrire spunti sulle opportunità di ottimizzazione.
Click-Through-Rate
Calcolato come rapporto tra clic totali e impression totali, il CTR è una delle metriche più importanti da considerare in termini di efficacia delle campagne in quanto fornisce una chiara visione dell’appeal degli annunci per il nostro target.
L’idea è semplice ed intuitiva: se l’annuncio fornisce informazioni utili per l’utente, genererà un numero elevato di clic che, conseguentemente, spingerà il CTR verso l’alto.
Il CTR può variare a seconda del settore di riferimento e non è detto che a un CTR alto corrisponda un ROI positivo o viceversa (mai considerare solo i KPI basati sul traffico!), ma mantenere un CTR elevato ha degli effetti positivi sul Punteggio di Qualità che spingono in basso il CPC.
Come migliorare il CTR? Ci sono molte best practice, come l’inserimento di tutte le estensioni che permettono all’annuncio di “emergere” sulle SERP, il ricorso al copywriting persuasivo, il raggruppamento delle parole chiave nei gruppi secondo le intenzioni di ricerca (qui il mio articolo sul modello AIDA).
Attenzione! Il CTR è una metrica basata sul traffico, quindi non è detto che un CPC alto sia correlato con una performance positiva in termini di conversioni: possiamo convogliare una mole interessante di utenti sulle nostri landing grazie ad un copy negli annunci eccellente, ma non è detto che questi utenti convertano.
Punteggio di Qualità (quality score o QS) delle parole chiave
L’obiettivo di Google è quello di fornire all’utente delle risposte più coerenti possibili con le sue richieste: per far comprendere agli inserzionisti se e in che misura i loro annunci concorrono alla realizzazione di quest’obiettivo crea il Quality Score, una metrica che stima la “qualità” di un annuncio in relazione a una specifica parola chiave. L’indicatore offre un valore puntuale, in scala da 1 a 10 e secondo la documentazione di Google il suo calcolo si compone di 3 elementi di base:
- Una variabile quantitativa, il CTR “previsto”, determinato in base a diversi fattori, tra cui le performance di CTR storiche;
- Due variabili qualitative, la pertinenza dell’annuncio rispetto alla ricerca dell’utente – quanto è efficace il messaggio rispetto alla query che l’utente fa al motore di ricerca? – e l’esperienza sulla pagina di destinazione in termini di rilevanza della pagina rispetto alla ricerca dell’utente.
Perché è importante avere un punteggio di qualità alto? Anche se non dice nulla in termini di profittabilità della campagna, è un KPI utile perché, in base alle sue 3 componenti “ufficiali” (teniamo presente che la lista non è esaustiva: ci sono anche altri fattori che possono influenzarlo), ci offre una chiave di lettura chiara ed immediata sulla nostra capacità di rispondere, con annunci e landing page, ad un’esigenza specifica dell’utente. Ma non solo. Poiché il punteggio di qualità è inversamente collegato al costo per clic effettivo e direttamente collegato all’Ad Rank, la posizione media dell’annuncio, a un quality score elevato dovrebbe corrispondere un CPC più basso e un ranking dell’annuncio più elevato.
Importante sì, prioritario no. Molti dedicano molto tempo ed energie a cercare tecniche per spingere quel numero in alto, distogliendo attenzioni dalle metriche che contano di più, quelle basate sul ROI e sulle conversioni. Abbiamo un punteggio di qualità basso? Non perdiamo tempo a cercare escamotage. Semplicemente facciamo quello che, a prescindere dal quality score, è utile per lo stato di salute dell’account: scriviamo annunci coinvolgenti, testiamo diversi ad copy, segmentiamo correttamente la nostra audience in modo da far aderire al massimo i nostri gruppi di annunci ai diversi intenti di ricerca. Se, nonostante i bassi punteggi di qualità (da 2 in su, limite per garantire la pubblicazione), le campagne sono profittevoli e le metriche basate sulle conversioni e il ROI sono dalla nostra parte, stiamo andando nella direzione giusta.
Posizione Media
La posizione media indica il punto della SERP nella quale si posizionano i nostri annunci, che, come visto in precedenza, viene determinata moltiplicando il punteggio qualità con l’offerta massima che siamo disposti a pagare per un clic (CPC max).
La posizione media, poiché metrica basata sul traffico, se da un lato è importante perché può determinare la quantità dei clic in entrata dall’altro non può essere utilizzata singolarmente per esprimere un giudizio di qualità sulle nostre campagne: non è detto che, a posizione media più elevata, corrispondano maggiori conversioni o maggior sostenibilità economica delle campagne.
Inoltre, non dimentichiamo che la posizione media, per definizione è un valore medio: di conseguenza, il numero restituito, sarà una media delle diverse posizioni che i nostri annunci assumeranno nel corso della giornata che, nel caso di presenza di valori estremi, potrebbe non essere rappresentativa.
Come leggere allora profittevolmente l’indicatore? Prima di tutto, non isolatamente ma in combinazione con una metrica basata sulle conversioni o sul ROI. Parallelamente, cercando di rendere il valore medio più granulare, ad esempio segmentandolo per ora del giorno.
Prendiamo come metrica di conversione esemplificativa il tasso di conversione e, filtrando per una campagna, sulla nuova interfaccia AdWords, selezioniamo “Reporting” e da qui
Rapporti Predefiniti>Tempo>Ora del Giorno
In questo modo, oltre a segmentare il valore della posizione media per ora del giorno, vedremo, in corrispondenza di ognuna di queste dimensioni, il valore assunto dal tasso di conversione nel corso della giornata:
In questo caso vediamo chiaramente che il tasso di conversione più favorevole sia in corrispondenza della posizione media 3, più bassa rispetto alla posizione media più alta e pari a 2. Inoltre, il CTR più alto, pari al 50%, corrisponde a un tasso di conversione pari a 0: ciò dimostra che, a metriche basate sul traffico favorevoli non è detto che corrispondano campagne profittevoli.
Metriche relative alla quota impression
Secondo la documentazione ufficiale Google la quota impressioni è “la percentuale di impressioni che gli annunci ricevono rispetto al numero totale di impressioni che potrebbero ottenere”.
Seppur non dicano nulla sulla performance in termini economici delle campagne, le metriche collegate alla quota impressioni sono utili in quanto, poiché basate su variabili che possono essere “manipolate” dall’inserzionista (punteggio di qualità, offerta CPC, budget e posizione media per citare alcuni esempi), offrono interessanti spunti sulle opportunità di ottimizzazione.
Queste metriche sono disponibili sia a livello di campagna che di gruppo di annunci e di parola chiave (e di gruppo di prodotti per Google Shopping). Per visualizzarle ad esempio per la Rete di Ricerca selezionare modifica colonne>metriche concorrenza:
- Quota Impressioni rete di Ricerca: indica la quota di impressioni ricevute in rete di ricerca in percentuale sul totale delle impressioni che i nostri annunci erano idonei a ricevere;
- Quota Impressioni Persa (Budget) Rete di Ricerca: rappresenta la quota di tempo nel quale gli annunci non sono stati mostrati a causa di un budget insufficiente. Aumentare allora il budget? Dipende. Se la campagna è performante sì altrimenti consiglio di rimuovere le parole chiave non performanti oppure stringere la copertura geografica escludendo le aree che registrano tassi di conversione sfavorevoli.
- Quota Impressioni Persa (Ranking) Rete di Ricerca: rappresenta la quota di tempo nel quale gli annunci non sono stati mostrati a causa di un ranking insufficiente durante le aste. In questo caso, per migliorarla, occorre lavorare sulle due determinanti dell’Ad Rank, il CPC e il punteggio di qualità. Ergo, aumentare l’offerta CPC max e/o migliorare la pertinenza dei nostri annunci.
- Quota Impressioni per corrispondenza esatta nella Rete di Ricerca: indica la quota delle impressioni ricevute in percentuale sul totale delle impressioni per termini di ricerca identici o quasi identici alle nostre parole chiave (=corrispondenza esatta). Idealmente, l’indicatore dovrebbe essere prossimo al 100%? Ni. Questo perché ogni giorno si stima che il 15% delle ricerche su Google siano completamente nuove: viene da sé che non riusciremo mai a prevederle tutte. In questo caso, l’utilizzo di corrispondenze diverse dalla esatta può darci dei benefici in termini di scoperta, tramite l’analisi delle query che attivano i nostri annunci, di nuove parole chiave da poter inserire. Per questo motivo, un valore “sano” di quest’indicatore dovrebbe essere tra 70 e 80%. Se più alto, ci stiamo precludendo delle opportunità di espandere le nostre parole chiave e dobbiamo aggiungere più corrispondenze diverse da quella esatta. Se più basso, è indice che le nostre campagne non riescono ad intercettare correttamente gli intenti di ricerca degli utenti: probabilmente dovremmo arricchire il set di corrispondenze inverse o ristrutturare i gruppi di annunci.
KPI basati sulle Conversioni
Gerarchicamente al di sopra delle metriche basate sul traffico ci sono quelle basate sulle conversioni, che corrispondono ai nostri obiettivi di business. Metriche che hanno, come presupposto fondamentale, che ci sia un corretto tracciamento delle conversioni.
In quest’ottica, se da un lato è opportuno che ogni business identifichi e tracci correttamente le conversioni corrispondenti ai propri obiettivi (non è detto che siano solo lead o vendite online, per alcuni business le conversioni possono essere anche le chiamate telefoniche), dall’altro è opportuno che le conversioni siano correttamente misurate ed attribuite nel modo più corretto possibile ai diversi canali. (qui un approfondimento sui modelli di attribuzione).
Tasso di Conversione Micro e Macro
Abbiamo identificato correttamente i nostri obiettivi di business e riusciamo a tracciarli in Google AdWords?
Se sì, siamo già a buon punto e possiamo immediatamente leggere il tasso di conversione che identifica la percentuale di utenti che atterrano sul nostro sito e compiono l’azione che desideriamo che essi compiano.
Ma per avere un quadro più completo, più che fermarci all’obiettivo al vertice (la vendita, la chiamata telefonica, il lead) o “macro-conversione”, possiamo aggiungere tanti obiettivi quante sono le azioni che l’utente compie – “micro-conversioni” – e che possono convogliarlo al macro-obiettivo finale. Iscrizione alla newsletter, download di una scheda tecnica sono utili, nel breve termine, per avere informazioni sulla correttezza della targettizzazione, particolarmente rilevante per quei settori nei quali la conversione implica Customer Journey più lunghe o una pluralità di decision maker, come il B2B.
Possiamo definire tutte queste micro-conversioni in Google Analytics o in altre piattaforme, come il nostro CRM, ed importarle in Google AdWords da misurazione>conversioni>importazione:
E una volta importate, possiamo verificarne i relativi tassi in
reporting>rapporti predefiniti>conversione>nome azione di conversione
Costo per Conversione
Il costo per conversione, relazionando la spesa totale in PPC e il numero di conversioni raggiunte permette di poter dire, a colpo d’occhio, quanto sta pagando il nostro business per ottenere una conversione. E’ un indicatore sì utile, ma parzialmente incompleto, sia perché si basa su un valore medio (anche qui è utile analizzarlo anche segmentandolo per micro-conversioni) sia perché non prende in considerazione i reali profitti associati alle vendite. In quest’ottica, dev’essere necessariamente letto in combinazione con indicatori basati sul ROI.
Ciononostante, conoscere e monitorare questo indicatore può essere importante, ma solo una volta aver raccolto una mole rilevante di conversioni, per impostare delle offerte basate su CPA target: dicendo alla piattaforma quanto siamo disposti a pagare per una conversione, il sistema deciderà, in base a questo l’offerta CPC più consona da fare.
Quota di spreco di budget sul totale
L’indicatore è utile per comprendere qual è il costo delle “non-conversioni” sul costo totale: in altri termini, è una misura della quota di budget speso senza produrre conversioni.
Possiamo calcolarlo a livello di campagna, di gruppo di annunci o parola chiave. In quest’ultimo caso, dall’interfaccia, selezioniamo “parole chiave” e filtriamo per “conversioni”
Una volta filtrato, spostiamoci sull’ultima riga:
In corrispondenza di “totale parole chiave filtrate” vedremo il costo delle parole chiave che non hanno prodotto conversioni. Dividiamole per il costo totale in rete di ricerca, moltiplichiamo per 100 e avremo l’indicatore.
Nell’esempio la quota è pari al 29%: di conseguenza, il 29% del budget investito, pari a circa 8.800 €, non ha prodotto nessuna conversione.
Certamente, non è detto che nel medio termine tutte le parole chiave generino conversioni ma è opportuno, in caso di variazioni verso l’alto dell’indicatore, agire su diversi fronti:
- Segmentare la performance degli ultimi 3 mesi per dispositivo, per comprendere ci sia un problema lato mobile (in quel caso, far sì che il sito sia maggiormente mobile-friendly o aggiustare l’offerta positivamente per il desktop)
- Esportare le query degli utenti negli ultimi 3 mesi e riorganizzarle in una tabella pivot raggruppando quelle che non hanno convertito. Quali intenti di ricerca esprimono? Sono coerenti con la pagina di destinazione? Sono coerenti con la nostra offerta commerciale? E da qui fare gli opportuni aggiustamenti, come l’arricchimento del set di corrispondenze inverse o il miglioramento nel copy, nelle call to action o nell’esplicitazione della nostra Unique Selling Proposition sulle landing page.
KPI basati sul ROI
Al vertice gerarchico tra i KPI si collocano tutti quelli basati sulla redditività del capitale investito, il ROI, che valutano la performance delle attività di advertising in relazione alla profittabilità economica delle stesse. Spesso, per essere calcolate, queste metriche necessitano di raccogliere dati anche da altri sistemi, come il CRM e i software di contabilità aziendale.
ROI e ROAS
Il ROI e il ROAS sono due indici di redditività molto simili: il primo indica il rapporto tra profitto realizzato con gli annunci (al netto dei costi complessivi) rispetto alla spesa complessiva, il secondo tra il profitto realizzato con gli annunci (al netto dei soli costi di advertising) rispetto ai costi di advertising.
Mentre per il calcolo del ROI è necessario avere delle informazioni sulla struttura dei costi complessivi aziendali (il costo di produzione va incluso nel calcolo), poiché il ROAS considera solo i costi sostenuti per l’advertising, se si tratta di un eCommerce e abbiamo correttamente configurato il tracking delle transazioni, possiamo leggerlo direttamente sulla piattaforma AdWords. Basta creare una colonna personalizzata con la formula del ROAS, indicando in “formato colonna” che il valore deve essere espresso come percentuale:
Se invece non è possibile visualizzare il valore economico di ogni conversione, come nel caso dei business che hanno lead o telefonate come obiettivi, è necessario, per il calcolo del ROAS e del ROAS, integrare la piattaforma con i sistemi di CRM o di Business Intelligence.
Profitto per Impression e profitto per Clic
Metriche create da Brad Geddes, rappresentano una sorta di ROI “granulare”, da calcolare come segue:
Queste metriche sono utili soprattutto in caso di implementazione di split test sugli annunci in quanto permettono di comprendere gli effetti delle variazioni sul copy degli annunci non solo in termini di CTR ma anche di profittabilità.
Life Time Value (LTV)
Il Life Time Value rappresenta una proiezione economica del valore totale di un cliente nel corso del tempo. La metrica identifica, secondo le transazioni effettuate o le conversioni completate in un certo periodo, il valore di un cliente nel medio lungo termine.
Può essere calcolato in diversi modi, anche Analytics ne fornisce una stima per gli ultimi 90 giorni che può essere definita in base a varie metriche, come le transazioni o gli obiettivi completati e filtrata per canale di acquisizione “paid”:
Conclusioni
Come il monitoraggio e la misurazione sono vitali per massimizzare le performance di un account AdWords, la scelta degli indicatori per la valutazione può essere determinante per il successo delle attività PPC e il raggiungimento degli obiettivi di business.
Non esistono metriche inutili: tutte le statistiche disponibili e calcolabili nella piattaforma offrono delle informazioni utili per la gestione e l’ottimizzazione dell’account, ma non tutte devono essere analizzate con lo stesso investimento in termini di tempo e risorse dedicate.
L’analisi e il miglioramento dei KPI deve essere effettuata seguendo un ordine gerarchico: partire dalle metriche basate sul ROI, che mostrano la profittabilità della campagna in termini economici, passare poi a quelle basate sulle conversioni, che mostrano la capacità della campagna di generare lead e vendite e, infine, focalizzare su quelle basate sul traffico, che mostrano l’andamento della domanda di mercato e la nostra capacità di catturare gli intenti di ricerca.