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La tela del blog

Anni di tasti e poi, poi arriva lui, lo smartphone e il touch screen. Il primo smartphone non si scorda mai eppure, si dimentica. Scorri con il dito lo schermo e ti si apre un mondo di storie, di informazioni, di persone. Hai in mano una rete e più ti addentri in essa e più si fa strada la domanda: mosca o ragno? Utente o blogger?

Tutto inizia con uno smartphone, dunque. Che cos’è un blog? A cosa serve? Perché aprirlo? La tela si stringe attorno alla mosca. È in trappola. Si muove, si contorce, cerca di fuggire. Non capisce come sia finita lì. Forse attratta dalla schermata liscia e sensibile di uno smartphone? Il fascino seducente delle diavolerie tecnologiche. Tip, si apre un sito. Tap, compare un blog. Tutto si risolve e cambia in pochi, semplici click.

Oh, è così semplice, così facile, così veloce. Tra un filo sottile e un nodo si apre un riquadro attraverso il quale si può vedere l’altro lato della realtà, quella che non conosci e che credi di conoscere. Mille occhi anzi no, milioni di occhi che guardano, si guardano, si studiano e si uniscono, si scambiano e si confrontano in un continuo, infinito e allettante ronzio digitale. Di relazioni che si stringono e che si rompono.

La mosca si muove nella rete costruita dal ragno. L’utente legge le trame del blogger che post dopo post allarga il suo centro e sfida lo spazio vuoto con sempre più ardite architetture. Case volanti appoggiate in un qualche servizio hosting più o meno solido tra le cui stanze si muove leggero, visibile e invisibile.

Controlla, il ragno, che i fili abbiano la giusta tensione e aggiusta, se serve, nodi strappati o allentati. Ascolta, attento. Attende l’arrivo della sua mosca e spera, famelica, che produca una qualche vibrazione lungo i fili della sua rete. Basta un commento, un like, una visualizzazione per far sì che quell’arazzo sul quale ha speso tempo e energie, abilità e competenze abbia un senso.

Quale arazzo? Come, non ti ricordi la storia di Aracne, la ricamatrice?

La fanciulla era così abile nella sua arte che vinse contro Athena. L’umana che vinse, con voto unanime da parte di dei ed esseri umani. Inaccettabile. La punizione non tardò ad arrivare e, in preda alla furia divina, l’opera della bella tessitrice venne fatta a pezzi. Per il dolore, la giovane si impiccò e la dea, pentita, la tramutò in ragno. La punì, per la sua arroganza pur riposta in una mirabile abilità e, allo stesso tempo, ne ebbe pietà facendo sì che la sua arte non avesse più fini di gloria ma, di sopravvivenza.

Aracne, continua a tessere. Tesse trame che raccontano, informano, intrappolano. Studia la sua preda, l’attrae a sé e di lei si nutre. Le mosche sono l’unico contatto e ricordo di ciò che era e che ha dovuto dimenticare. Ha bisogno di loro per sopravvivere. Ha bisogno di loro per verificare la validità della sua rete. Sono il suo nutrimento e la sua riserva. È costretto, il ragno, a muoversi non appena coglie una vibrazione e ad attendere, al centro della sua rete. Qualche volta si domanda però perché Athena è stata così crudele nel rendere mostruosa un’abile tecnica e parla, in cerca di risposte che, dalla bocca, si dipanano in fili. Tip, una mosca. Il pranzo è servito ma no, non si deve agitare. È necessario calmarla, sedarla, avvolgerla in un bozzolo di contenuti per tenerla al caldo. La discendente di Aracne lo fa. Sta per sopraggiungere l’inverno, farà molto freddo quest’anno.

Il ragno dovrebbe ritirarsi in una casa più riparata. Le riserve ci sono, la tela del blog è a posto. Eppure, è stanco di tessere per sopravvivere. Si dispone al centro, stende le zampe sui fili principali e attende il calare della notte. Alle prime luci del mattino, perle di rugiada si cristallizzano sulla trama e il pallido sole invernale fa risaltare l’ombra del ricordo di quello che era un bellissimo arazzo. E il ragno, dal centro, vede la sua opera, il fine. Per un attimo, ricorda e si lascia andare al gelo e all’immobilismo.

“Hai reso mostruoso il creatore lasciando bellissima, l’opera. Athena, perché mi hai dato questo dono e questa punizione? Che senso ha sopravvivere, in un mondo di fama? Cosa vuol dire cambiamento e trasformazione?”

Rita Fortunato

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