Brand community: valori emozionali per conquistare una buona reputazione
“Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende che li fanno. E se una cosa è buona o cattiva, comunque lo dicono a tutti” (12° tesi del Cluetrain Manifesto)
Se come diceva Buffett “Ci vogliono vent’anni per costruirsi una reputazione e 5 minuti per distruggerla” oggi fra social media e community, il rischio di compromettere la reputazione di un brand aumenta ogni minuto che passa.
Gestire la reputazione di un brand non significa più solo parlare o far parlare di sé e dei propri prodotti attraverso i media tradizionali ma necessita di un ruolo attivo, per gestire le conversazioni, i feedback e le recensioni, che avvengono online. Possibilmente con tempestività ed empatia.
Non solo monitoraggio e controllo ma anche interazione con la propria community.
Il 68% delle aziende si serve dei social media per creare una community intorno al proprio brand: si punta a creare o rafforzare relazioni, attivando conversazioni e stimolando all’azione le persone coinvolte. Nella community la relazione fra brand e clienti può essere valorizzata al massimo del suo potenziale costruendo legami basati su valori condivisi, quelli emozionali.
Qual è il ruolo della brand community?
Creare una community contribuisce a fornire un’esperienza del brand dinamica.
La brand community favorisce lo sviluppo di legami tra il brand e i membri della community, rinforzando continuamente la relazione e creando un ambiente adatto per diffondere la storia e i valori del brand.
Partecipando alla brand community, il consumatore/utente si sente protagonista nel definire e diffondere una marca.
“La gente sceglie le proprie marche come sceglie gli amici. Noi non scegliamo gli amici per le loro particolari abilità o per i loro attributi fisici (anche se pure questi sono importanti), ma semplicemente perché ci piacciono in quanto persone. Scegliamo le persone nel loro complesso, non come un elenco di vizi e virtù. (Stephen King, What is a brand?, 1970)
La community, dove gli interessi e le passioni dei clienti si possono incontrare in maniera reale o immaginaria, diventano luogo di osservazione delle dinamiche di apprendimento dei valori trasmessi e diffusore di influenza della percezione che i consumatori hanno del brand. Il tessuto relazionale diventa il punto di vista privilegiato per studiare le brand community.
Qualche anno fa, Henry Jenkins, MIT di Boston, nel testo “Cultura Convergente” ** affermava che “le aziende in rete stanno perdendo il controllo e i consumatori remixano i contenuti digitali in modo più efficace e veloce dei media broadcaster.”
Il vantaggio di coinvolgere direttamente i clienti, insieme al passaparola e alla brand reputation (reputazione del marchio in rete) è proprio questo: una diretta conseguenza della creazione di un rapporto di fiducia tra il cliente, brand e i suoi prodotti, in maniera dinamica. “ll consumo è diventato un processo collettivo in cui ognuno di noi è chiamato a contribuire alla conversazione globale accelerando così la circolazione del contenuti dei Processi Culturali e Comunicativi”.
Come pianificare la strategia di una brand community?
Kurt Komaromi, in “Building Brand Communities”*, identifica dieci principi fondamentali su cui ogni brand dovrebbe basare la propria pianificazione strategica. Vediamoli insieme!
Product differentiation: basa la community su un prodotto o una marca con dei valori aggiunti in grado di differenziarlo dai competitors e di attirare gruppi di adepti;
Brand identity: crea un’identità unica, forte e riconoscibile; è la base su cui costruire una comunità con le stesse caratteristiche;
Target market: identifica il target di riferimento e cerca di comprenderlo più che di raggiungerlo solo a scopi commerciali;
Opinion leaders: intrattieni relazioni con gli opinion leaders influenti che possono indurre altri individui a sperimentare un brand;
Brand experiences: crea esperienze in cui gli individui entrino in contatto a livello emotivo ed emozionale con la marca, innescando associazioni positive e memorabili;
Customer dialogue: stabilisci una comunicazione bidirezionale che soddisfi le esigenze dell’impresa ma soprattutto dei consumatori;
Design aesthetic: focalizzati sul design come elemento distintivo e attraente.
Corporate personality: nomina un portavoce dei benefici della brand in grado di relazionarsi con i consumatori e di comunicare al meglio la personalità dell’azienda. Underdog mentality: cerca di essere percepiti come un piccolo pesce che combatte il grande squalo aziendale.
Caveat emptor: riconosci che la brand community non è l’unica chiave del success, quindi occorre integrare questa strategia con altri piani comunicativi adeguati.
È importante identificare il ruolo chiave della community nella costruzione di una good reputation ma occorre un equilibrio tra gli interessi dell’organizzazione e quelli dei membri della community.
Il brand non deve considerare la community come una sua proprietà ma come un valore aggiunto che sia in sintonia con le esigenze e i problemi degli individui. La partecipazione dei membri è l’ossigeno della community, e va alimentata continuamente attraverso una gestione e una cura costante.
Nella brand community, brand reputation e community management sono “molto vicini”.
Entrambi sono focalizzate sulle persone e sulle conversazioni: la brand reputation le monitora per comprenderle, il community management se ne prende cura.
Come si cura la brand reputation?
La brand reputation rappresenta ormai la capacità del brand di raccontare la propria storia: la chiave per conquistarsi una buona reputazione è quella di fare uso dello storytelling per veicolare valori emozionali nella community.
Come curarla e rafforzarla?
- Mantenendo le promesse alla base della relazione instaurata.
- Dando valore al consumatore affinché il consumatore possa dare valore al prodotto.
- Alternando la promozione, alla condivisione e partecipazione.
- Parlando con gli utenti per umanizzare il brand.
- Ascoltando le richieste, i feedback e i pareri e sviluppando engagement in base a ciò che abbiamo ascoltato e rielaborato.
Le community sono fatte da persone; dietro ai brand ci sono le persone.
Le emozioni rappresentano un linguaggio universale. Meglio conversare che promuovere spudoratamente; meglio raccontare che usare fredde risposte impersonali.
Chiudo con la massima di Kramer** “Non più B2B o B2C ma H2H (Human To Human)” che sintetizza il bisogno di ascoltare, di personalizzare la relazione online e gestire la community, puntando all’emozione di ogni singola persona e non della massa-tribù.
Emozione, empatia e ascolto sono elementi fondamentali.
Fonti:
*http://cdgroup.blogs.com/design_channel/brand_communities.pdf
**http://www.bryankramer.com/there-is-no-more-b2b-or-b2c-its-human-to-human-h2h/
P.s.: Leggi la nostra intervista a Eufemia Scannapieco