Un’ora e mezza di “blackout” che è costata molto cara alla società di Mountain View: dovrebbero essere all’incirca 2 milioni di dollari, a tanto sembrano ammontare le perdite dovute all’interruzione di servizio del server DoubleClick, senza contare i disservizi ai 55.185 siti Web che utilizzano la piattaforma pubblicitaria poggiata sul server. Secondo le fonti ufficiali, il blackout si è verificato fra le 9 e le 10.30 dello scorso 12 novembre e causata, a detta di Google stessa, da un difetto del software.
Il calcolo dei 2 milioni di dollari è invece frutto delle stime di Dynatrace, un servizio di monitoraggio delle applicazioni che ha confermato come si sia trattato di un problema interno all’infrastruttura di Big G. Per Google gli introiti derivanti da terze parti nell’ultimo trimestre ammontano a 3,4 miliardi dollari, ovvero a 1,5 milioni di dollari all’ora. Il disservizio di 90 minuti si è tradotto, appunto, in 2 milioni di dollari di mancati guadagni.
Per un’ora e mezza 55.185 siti di vario tipo hanno sperimentato rallentamenti nella visualizzazione delle pagine, link non cliccabili e la “scomparsa” delle immagini che avrebbero dovuto riempire banner e altri spazi pubblicitari, che risultavano bianchi. Comportamenti anomali che abitualmente causano l’abbandono della pagina da parte dell’internauta, e dunque una perdita di traffico, di visualizzazioni e di ricavi pubblicitari. Un vero e proprio disastro.
Questo il commento di Michael Allen, vice president Emea strategic partners and business development di Dynatrace: “L’advertising online è una fonte fondamentale di entrata per le agenzie pubblicitarie e i media online. Ogni disservizio dei network pubblicitari, tra i quali DoubleClick è il più grande, comporta quindi una perdita sostanziale di reddito potenziale. Una situazione come questa comporta anche il rallentamento del sito con un impatto conseguente doppiamente negativo, perché gli utenti alle prese con le pagine lente scelgono di abbandonarlo, portando a una perdita ulteriore di contatti e impression”.
Vincenzo Abate