Inaccessibile dall’Italia il social network VKontakte

Sta facendo molto discutere l’inserimento di un noto social network russo, oltre ad circa una decina di siti di video-streaming, a causa di una richiesta dell’Autorità Giudiziaria italiana promossa dalla Medusa, casa distributrice del film “Sole a catinelle”. Una polemica che sta facendo discutere in modo molto marcato in varie parti delle rete, e anche Il Fatto Quotidiano se ne è occupato sollevando più di un dubbio rispetto alla legittimità dell’azione effettuata. Bisogna pero’ fare una serie di precisazioni in merito, visto che si parla di una sostanziale censura e, in un certo senso, la discussione andrebbe articolata diversamente.
Il social network in questione (VK.com, attualmente irraggiungibile dall’Italia se non utilizzando DNS esterni) è quindi stato preso di mira dalla Medusa, che detiene di diritti di distribuzione dell’ultimo popolarissimo film di Zalone: la notizia è circolata inizialmente grazie a Tomshw che ha aggiornato successivamente un post nel quale riporta una fonte decisamente inequivocabile. Si tratta di una risposta dell’assistenza di FastWEB in merito ad un disservizio lamentato nei commenti da uno dei loro utenti.
Si tratta davvero di “censura”?
Dal canto suo VKontakte vanta 160 milioni di utenti all’attivo, tra i quali gli italiani che ci accedevano sono stati, almeno in prima istanza, nettamente esclusi: c’è da specificare che la parola “censura” utilizzata da molti media in merito possa rilevarsi quantomeno impropria, e questo per una ragione ben precisa. Ma analizziamo i fatti che conosciamo: Medusa denuncia il sito in questione come “mezzo” fattivo perchè “diffusore” di un prodotto di cui detengono i diritti. Un po’ come se scoprissimo, da commercianti online, che esiste un sito che vende o propone prodotti del nostro brand senza alcuna autorizzazione o imitandone la qualità.
La richiesta è di per sè legittima, piaccia o meno, e si colloca nell’ambito di una sorta di lotta ai prodotti contraffatti di cui sentiamo parlare molto spesso in altri ambiti. C’è da premettere che, come nei caso di Rapidgator o similari, è plausibile che l’aggravante eventuale sia il fatto che su un social network, normalmente, avvenga una monetizzazione delle pagine mediante banner pubblicitari: la presenza di un prodotto gratuito molto ambito, unito al fatto che quegli stessi annunci sono quasi sempre contestuali (appaiono ad es. in italiano per utenti italiani), mette certamente il sito stesso in una situazione “imbarazzante”, e niente affatto esente da responsabilità. L’azienda in questione tutela i propri interessi, quasi certamente il mezzo utilizzato è discutibile in quanto evoca scenari abbastanza spiacevoli (ad es. basterebbe una denuncia alle autorità per impedire l’accesso teoricamente a qualsiasi sito dall’Italia). Eppure c’è da aggiungere che nessuno di quegli italiani sarebbe andato in un social network russo in massa, se non per visionare – per l’appunto – il film in questione: e finchè la lista dei siti censurati sarà prevalentemente fatta da portali costruiti, in un modo o nell’altro, per scopi di pirateria, ci sarà poco di cui potersi lamentare nel concreto. Diverso sarebbe se fossero siti di altra natura, ovviamente.
ll motivo per cui VK è stato oscurato – la lista dei siti oscurati dall’Italia, aggiornata quasi ogni giorno, è qui– sono quindi legati al fatto che tale portale fosse veicolo di pirateria: di fatto, inoltre, è tecnicamente scorretto dire che il sito sia stato “oscurato” poichè, cambiando i DNS, è possibile comunque accedervi. Se fosse stato completamente chiuso dal server (cosa che non è successa), allora avremmo potuto farci delle domande e sarerebbe stato certamente diverso il discorso, in quanto impedire l’accesso ad un social network in cui molte persone vanno a svolgere attività del tutto lecite è certamente fuori dal mondo. In questo caso, invece, le cose stanno diversamente, in quanto quello che un po’ impropriamente viene chiamato “oscuramento” non è altro che una sorta di ban dell’indirizzo pervenuto, come suggeriva Fastweb, per legge a tutti i provider internet. Il sito resta vivo e vegeto: semplicemente non è più raggiungibile dall’Italia, e per una ragione ben precisa oltre che lecita.
I rischi di censura e di eliminare siti scomodi sono certamente concreti, ma bisognerebbe forse riuscire a contestualizzare ogni singolo caso: si potrebbe dire che, in questo caso, la tutela degli interessi di un singolo ha prevalso sulla voglia di molti di guardare un film senza pagare nulla. Ma questo apre uno scenario che è difficile affrontare senza le dovute conoscenze in ambito legale, e molto ci sarebbe da discutere ancora. La pirateria dovrebbe essere affrontata in modo tanto serio quanto mirato, senza generalizzare un provvedimento che, in situazioni differenti, avrebbe portato tranquillamente alla chiusura di Facebook e Twitter (sui quali è perfettamente plausibile che circolino copie pirata di altri film o musica).