
Di recente il tribunale europeo nelle cause riunite T-321/11 e T-322/11 ha stabilito che la semplice registrazione di un nome di dominio Internet non consente al legittimo titolare di opporsi al suo utilizzo da parte di terzi, a meno che non venga dimostrato che il dominio abbia chiare finalità commerciali (commercial intent). Questa notizia, in qualche modo, sembra dare una sorta di “giustificazione” all’annosa pratica del cybersquatting, ovvero il furto di un nome di dominio mediante l’appropriazione indebita di un nome di dominio identico, o molto simile, a quello di un brand famoso.
In sostanza il Tribunale non fa che confermare quella che è la prassi attuale: i nomi di dominio vengono registrati indiscriminatamente (ultimamente molta gente si è appropriata di nomi di prodotti molto famosi appena usciti sul mercato), e spesso vengono rivenduti su aste costosissime oppure, in alcuni casi, a prezzi esorbitanti ai “proprietari” che li reclamano. Non sempre il riscatto per vie legali ha successo, nella pratica, proprio perchè il “commercial intent” di un sito non è agevole da dimostrare, specialmente se non si tratta di un vero e proprio sito di e-commerce. In effetti la considerazione fatta dai giudici sull’acquisto del dominio come “operazione tecnica di possesso di uno spazio web per un periodo limitato” è corretta: il problema è che esiste l’advertisting online (ovvero i banner pubblicitari) per cui la finalità di registrazione di certi siti, nella pratica, non può che essere di natura commerciale. Certamente non tutti i marchi registrati su internet senza permesso hanno successo, per cui la considerazione fatta è piuttosto precisa.
Attualmente i nomi di dominio vengono registrati in modo del tutto indiscriminato e spesso vengono rivenduti su aste costosissime oppure, in alcuni casi, a prezzi esorbitanti ai “proprietari” che li reclamano: la stessa presenza di annunci online oppure di spazi pubblicitari in vendita dovrebbe, a rigor di logica, far passare l’idea che il sito possieda un intento commerciale, per quanto non esplicitamente dichiarato (e con tutte le conseguenze a livello fiscale che ne comportano, spesso del tutto ignorate dai webmaster). Non potendo chiaramente vietare la registrazione dei brand, di fatto il tribunale ha confermato la prassi attuale esprimendo un giudizio “con riserva”, ovvero nella circostanza in cui il dominio riesca a fatturare un grosso quantitativo di denaro (cosa peraltro pienamente da dimostrare, caso per caso). Ci è mai capitato di voler registrare un nome a dominio e di non poterlo fare perché già qualcun altro lo aveva fatto? In tal caso siamo in presenza di quello che viene chiamato cybersquatting o domain grabbing, pratica diffusa sul web fin dagli anni 90, e che vive sul fatto che è possibile registrare un numero illimitato di domini similari (ad esempio nomebrand.it, nomebrand.com, …) oppure, in certi casi, approfittare della dimenticanza dell’azienda per impadronirsi del nome e rivederlo ad un prezzo maggiorato. Si ricorda che, nel caso in cui non si voglia pagare quel dominio “rubato”, è possibile rivolgersi alla Registration Authority del NIC per chiedere l’espropriazione del dominio in questione. In altri casi sarà opportuno rivolgersi al proprio consulente legale di fiducia, possibilmente con la collaborazione di un esperto di informatica.